dimecres, 17 de febrer del 2010

Ballet pour un Herbier

Ballerini danzavano tra tessuti d’acciaio brunito, muri di cemento accarezzati da velluto e boschi di resina.

Le opere d’arte di Christina Iglesias sembravano essere la perfetta scena per le coreografie che nascevano repentine da lontane fiabe. Le sculture parevano fondersi con i movimenti ed i volteggi di giovani spiriti danzanti.

Uno spettacolo pensato per un luogo solo, per un’unica sera. Immagini in movimento che ho avuto la fortuna di poter cogliere nella loro unicità. Voli effimeri che, come farfalle di un magico giardino, nascono e muoiono in un fiore e forse proprio in un giardino, va ricercata l’essenza dello spettacolo.

Pour un Herbier (Per un giardino) era il titolo della storia raccontata

Le sculture ed i movimenti trasportavano il pubblico dentro un mondo di fiaba. Non è facile, ad occhio inesperto, vedere le frasi, i discorsi che un movimento di danza contemporanea può esprimere. Proprio per questo non so se sia stato per condizionamento o per l’esattezza delle coreografie ma in vero sembrava di essere all’interno di un giardino. I ballerini assumevano nella mia fantasia sembianze di insetti luminescenti, di rapidi uccelli, di timidi roditori e di teneri amanti. Per poco più di un ora, le mura del possente edificio industriale che ci ospitava, sono volate come i semi di un soffione davanti al desiderio di un bambino; per un’ora sono stato proiettato in un giardino, credo fosse in Inghilterra o forse in Francia. Non saprei dirlo. Colori di bronzo con tagli di luce sembravano muri di pietra su cui si aggrappavano rose rampicanti.

La magia dello spettacolo è stata accentuata dal fatto che i pubblico non fosse disposto, come in una platea teatrale, davanti ad un palco ma era all’interno della scena, in mezzo alle opere di Christina, in mezzo ai ballerini che, con i loro passi, andavano a coprire tutto lo spazio. Una danza itinerante. Una danza alla scoperta dei segreti nascosti giardino, segreti che forse come la danza stessa non si riusciranno mai a penetrare fin nel profondo.

Le opere, soprattutto i soavi teli di acciaio, suggerivano sentieri dentro il giardino in cui una natura, all’apparenza ostile, veniva domata dai ballerini.

Il giardino dell’artificio: sentieri e fughe era il sottotitolo dello spettacolo, forse è vero, forse è tutto finto, artificiale: in fondo erano solo sculture e danze ma l’artificiale, a volte, diventa natura. Leggeri veli verticali separavano, a tratti, il giardino ed i loro abitanti dal mondo reale ed offrivano al pubblico, con giochi di luci ed ombre, angoli di rifugio e momenti di ristoro dove corpi, con lenti movimenti, emergevano e dialogavano attraverso un linguaggio universale: il linguaggio della musica e della danza. Su setti di acciaio erano intrecciate sfumate lettere: parole che dal cuore dei ballerini si fissavano sulla superficie del mondo attraverso l’opera d’arte.

Natura ed artificio danzavano insieme. Mormorii di una pozza d’acqua che occupava il centro dello spazio, aria fresca che penetrava tra le opere, muri di cemento che simulavano alberi e tessuti di metallo che ricordavano frasche.

Poche volte capita di provare emozioni magiche. Il tempo ha accelerato il suo passo e come in quel racconto, tutto è successo in un battito d’ali.

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